“Una bianca farfalla
sui garofani
è forse un’anima?”
(Shiki Masaoka: 1866-1902).
Vanessa la farfalla
Nel mio breve periodo di tirocinio svolto presso una casa famiglia, ho conosciuto molte persone con deficit fisici, sensoriali e psichici. Tutti i residenti della casa famiglia hanno delle storie difficili alle spalle, storie famigliari di emarginazione e di disagio. Alcuni di questi ragazzi hanno dei genitori molto anziani e quindi impossibilitati ad occuparsi di loro. Tra i residenti,vivono tre ragazzi tetraplegici; vivono lì da sempre . Io vorrei raccontare la storia di Vanessa, una giovane adolescente di 13 anni che ha l’aspetto di una bambina.
La storia di Vanessa sembra essere la sintesi di tutti quei preconcetti e pregiudizi che riguardano le persone affette da deficit gravi. Vanessa ha una storia di abbandono alle spalle: appena nata è stata lasciata in un ospedale da una madre con problemi di tossicodipendenza, e che ala fine ha partorito una bambina con seri danni cerebrali, una grave forma di tetraplegia e una quasi cecità.
Appena nata, i medici dedussero dal quadro clinico generale che Vanessa non sarebbe sopravvissuta a lungo; fu subito operata allo stomaco a causa forse di una complicazione gastrointestinale e ancora oggi porta i segni di quell’operazione…forse i medici, proprio perché convinti che non sarebbe sopravvissuta, non considerarono l’importanza di ricucire la ferita in modo tale che la cicatrice non le deturpasse il corpo. In quella situazione l’approccio dei medici fu esclusivamente di tipo clinico e dimostrarono con il loro comportamento come i pregiudizi possano condizionare la nostra percezione, il nostro modo di entrare in relazione con l’altro, le nostre scelte e le nostre azioni: essi sono intervenuti per salvare la vita a Vanessa dando per scontato l’esito infausto di ogni possibilità di crescita, di sviluppo e di cambiamento futuro. Vanessa è poi stata data in affidamento e sin da piccola ha sempre vissuto nella casa famiglia, circondata dall’affetto di tutti . Nonostante la gravità della sua situazione generale ho percepito comunque in Vanessa dei “segnali” che mi fanno supporre che sia fondamentalmente serena. Infatti, è “pregiudizievole” pensare che avendo un grave deficit cognitivo Vanessa non provi delle sensazioni o emozioni: le persone cosiddette “normodotate” che si fermano alle apparenze, vedono in lei solo un essere “malato” bisognoso esclusivamente di cure primarie per sopravvivere, una persona impossibilitata a relazionarsi con gli altri perché emette solo suoni (e se ognuno di quei suoni avesse un suo significato preciso?). Se il primo pensiero che balena nella mente è “poverina” oppure “che persona sfortunata”, forse non si riesce ad andare oltre il suo deficit col rischio di percepire Vanessa alla stregua di un “vegetale”. Un ragazzo diversamente abile, riferendosi agli atteggiamenti e agli sguardi pietistici degli altri usa, con un ribaltamento di prospettiva e una certa ironia, il termine “normodotati gravi” e afferma: «Sono quelli che non riconoscono le abilità diverse, che hanno paura di entrare in relazione con la diversità. Il Parlamento è un concentrato di normodotati gravi, ma ci vuole pazienza…»
Anche nel contesto scolastico i giudizi sulle capacità e potenzialità di Vanessa risultano alterati (sottostimati) dall’immagine che alcuni insegnanti hanno della persona con disabilità. Ho accompagnato personalmente Vanessa a scuola e ho notato che, a differenza dell’altro ragazzo che vive con lei ed ha un deficit molto simile al suo, il quale è accettato da tutti i suoi compagni ed è ben integrato nel contesto della classe, intorno a Vanessa c’è la più totale indifferenza: quando siamo entrate in classe, la maestra ha alzato a malapena la testa, solo alcuni compagni le hanno rivolto un saluto distratto e tutti gli altri hanno continuato a svolgere le loro attività come se lei non ci fosse. Io credo che la scuola dovrebbe favorire e non ostacolare il difficile cammino verso l’integrazione dei bambini con disabilità e contribuire ad abbattere i pregiudizi nei loro confronti. Ma tutto ciò non può avvenire se coloro i quali entrano in contatto con le persone con disabilità non intendono mettersi in gioco aprendosi all’altro, accogliendo la diversità come opportunità per comprendere l’altro da sé e moltiplicare i punti di vista e le prospettive attraverso cui osservare se stessi e il mondo che ci circonda.
Vanessa non è certo un “vegetale” che esiste solo per essere nutrito: ha un suo carattere (si ribella se la pettini), ha le sue preferenze (ama esporsi al sole e si agita divertita se ascolta dei suoni particolari come ad esempio il fischio). Non è mia intenzione negare i suoi problemi (per un periodo ha sofferto anche di anoressia) né proporre ricette miracolose che possano di colpo risolvere una sua situazione fortemente compromessa. Credo però, che bisogna accordarle la fiducia che possa fare dei progressi seppur piccoli, ma tali, comunque, da consentirle di avere un vita significativa e parimenti dignitosa rispetto a quella di tante altre persone con disabilità meno gravi rispetto alla sua.
Nonostante in molti nel passato hanno immaginato il futuro di Vanessa come ineluttabilmente prigioniero all’interno di una crisalide, io credo che oggi si debbano combattere questi atteggiamenti e pregiudizi che ancora segnano la sua esistenza. Vanessa in realtà è stata imprigionata dallo sguardo altrui che ha visto in lei unicamente una persona a cui era preclusa ogni possibilità di stabilire un contatto significativo con il mondo. Il tempo, il suo tempo, è stato congelato in un presente senza speranza e con esso l’idea di futuro con i possibili cambiamenti e gli sviluppi che porta con sé. Così facendo, l’unico risultato è l’arresto dello sviluppo che, come ho più volte ribadito è frutto di un radicato pregiudizio che ci fa ritenere la persona con disabilità grave priva di risorse e senza potenzialità, determinando l’idea che non potrà sviluppare nessun apprendimento anche di tipo semplice, oppure nessun miglioramento. A me piace pensare che un’efficace relazione di aiuto, il più possibile libera da “gabbie” mentali, possa restituire a persone come Vanessa dignità e possibilità di “poter essere”…una farfalla che si libra nell’aria leggera…
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