Cerca nel blog

venerdì 29 aprile 2011

PREGIUDIZI

In questo post ,vorrei descrivervi il mio incontro con ragazzi disabili durante il mio tirocino in una struttura che li accoglieva. Io per prima avevo dei preconcetti, non avendo mai lavorato in quei contesti, sulle persone che vivono lì. Ed è per questo che vorrei raccontare, nello specifico di una bambina:


Una bianca farfalla
sui garofani
è forse un’anima?
(Shiki Masaoka: 1866-1902).

Vanessa la farfalla
Nel mio breve periodo di tirocinio svolto presso una casa famiglia, ho conosciuto molte persone con deficit fisici, sensoriali e psichici. Tutti i residenti della casa famiglia hanno delle storie difficili alle spalle, storie famigliari di emarginazione e di disagio. Alcuni di questi ragazzi hanno dei genitori molto anziani e quindi impossibilitati ad occuparsi di loro. Tra i residenti,vivono tre ragazzi tetraplegici; vivono lì da sempre . Io vorrei raccontare la storia di Vanessa, una giovane adolescente di 13 anni che ha l’aspetto di una bambina.
La storia di Vanessa sembra essere la sintesi di tutti quei preconcetti e pregiudizi che riguardano le persone affette da deficit gravi. Vanessa ha una storia di abbandono alle spalle: appena nata è stata lasciata in un ospedale da una madre con problemi di tossicodipendenza, e che ala fine ha partorito una bambina con seri danni cerebrali, una grave forma di tetraplegia e una quasi cecità.
Appena nata, i medici dedussero dal quadro clinico generale che Vanessa non sarebbe sopravvissuta a lungo; fu subito operata allo stomaco a causa forse di una complicazione gastrointestinale e ancora oggi porta i segni di quell’operazione…forse i medici, proprio perché convinti che non sarebbe sopravvissuta, non considerarono l’importanza di ricucire la ferita in modo tale che la cicatrice non le deturpasse il corpo. In quella situazione l’approccio dei medici fu esclusivamente di tipo clinico e dimostrarono con il loro comportamento come i pregiudizi possano condizionare la nostra percezione, il nostro modo di entrare in relazione con l’altro, le nostre scelte e le nostre azioni: essi sono intervenuti per salvare la vita a Vanessa dando per scontato l’esito infausto di ogni possibilità di crescita, di sviluppo e di cambiamento futuro. Vanessa è poi stata data in affidamento  e sin da piccola ha sempre vissuto nella casa famiglia, circondata dall’affetto di tutti  . Nonostante la gravità della sua situazione generale ho percepito comunque in Vanessa dei “segnali” che mi fanno supporre che sia fondamentalmente serena. Infatti, è “pregiudizievole” pensare che avendo un grave deficit cognitivo Vanessa non provi delle sensazioni o emozioni: le persone cosiddette “normodotate” che si fermano alle apparenze, vedono in lei solo un essere “malato” bisognoso esclusivamente di cure primarie per sopravvivere, una persona impossibilitata a relazionarsi con gli altri perché emette solo suoni (e se ognuno di quei suoni avesse un suo significato preciso?). Se il primo pensiero che balena nella mente è “poverina” oppure “che persona sfortunata”, forse non si riesce ad andare oltre il suo deficit col rischio di percepire Vanessa alla stregua di un “vegetale”. Un ragazzo diversamente abile, riferendosi agli atteggiamenti e agli sguardi pietistici degli altri usa, con un ribaltamento di prospettiva e una certa ironia, il termine “normodotati gravi” e afferma: «Sono quelli che non riconoscono le abilità diverse, che hanno paura di entrare in relazione con la diversità. Il Parlamento è un concentrato di normodotati gravi, ma ci vuole pazienza…»
Anche nel contesto scolastico i giudizi sulle capacità e potenzialità di Vanessa risultano alterati (sottostimati) dall’immagine che alcuni insegnanti hanno della persona con disabilità. Ho accompagnato personalmente Vanessa a scuola e ho notato che, a differenza dell’altro ragazzo che vive con lei ed ha un deficit molto simile al suo, il quale è accettato da tutti i suoi compagni ed è ben integrato nel contesto della classe, intorno a Vanessa c’è la più totale indifferenza: quando siamo entrate in classe, la maestra ha alzato a malapena la testa, solo alcuni compagni le hanno rivolto un saluto distratto e tutti gli altri hanno continuato a svolgere le loro attività come se lei non ci fosse. Io credo che la scuola dovrebbe favorire e non ostacolare il difficile cammino verso l’integrazione dei bambini con disabilità e contribuire ad abbattere i pregiudizi nei loro confronti. Ma tutto ciò non può avvenire se coloro i quali entrano in contatto con le persone con disabilità non intendono mettersi in gioco aprendosi all’altro, accogliendo la diversità come opportunità per comprendere l’altro da sé e moltiplicare i punti di vista e le prospettive attraverso cui osservare se stessi e il mondo che ci circonda.
Vanessa non è certo un “vegetale” che esiste solo per essere nutrito: ha un suo carattere (si ribella se la pettini), ha le sue preferenze (ama esporsi al sole e si agita divertita se ascolta dei suoni particolari come ad esempio il fischio). Non è mia intenzione negare i suoi problemi (per un periodo ha sofferto anche di anoressia) né proporre ricette miracolose che possano di colpo risolvere una sua situazione fortemente compromessa. Credo però, che bisogna accordarle la fiducia che possa fare dei progressi seppur piccoli, ma tali, comunque, da consentirle di avere un vita significativa e parimenti dignitosa rispetto a quella di tante altre persone con disabilità meno gravi rispetto alla sua.
Nonostante in molti nel passato hanno immaginato il futuro di Vanessa come ineluttabilmente prigioniero all’interno di una crisalide, io credo che oggi si debbano combattere questi atteggiamenti e pregiudizi che ancora segnano la sua esistenza. Vanessa in realtà è stata imprigionata dallo sguardo altrui che ha visto in lei unicamente una persona a cui era preclusa ogni possibilità di stabilire un contatto significativo con il mondo. Il tempo, il suo tempo, è stato congelato in un presente senza speranza e con esso l’idea di futuro con i possibili cambiamenti e gli sviluppi che porta con sé. Così facendo, l’unico risultato è l’arresto dello sviluppo che, come ho più volte ribadito è frutto di un radicato pregiudizio che ci fa ritenere la persona con disabilità grave priva di risorse e senza potenzialità, determinando l’idea che non potrà sviluppare nessun apprendimento anche di tipo semplice, oppure nessun miglioramento. A me piace pensare che un’efficace relazione di aiuto, il più possibile libera da “gabbie” mentali, possa restituire a persone come Vanessa dignità e possibilità di “poter essere”…una farfalla che si libra nell’aria leggera…

domenica 24 aprile 2011

Non solo pittori famosi III

ARTEMISIA GENTILESCHI PRIMA PARTE


Giuditta che decapita Oloferne,
1612-1613, 158,8 x 125,5,  Museo Capodimonte
Siamo arrivati al terzo appuntamento sulle pittrici donne, in questo post  vi parlerò di una delle più conosciute :Artemisia Gentileschi nata nel 1593, figlia del  pittore toscano Orazio Gentileschi, visse sin da piccola nella bottega del padre dove imparò a disegnare a impastare i colori e a dar lucentezza ai dipinti. Grazie agli artisti che gravitavano intorno alla sua casa (tra cui Caravaggio, che influenzò notevolmente le  sue opere) il suo precoce talento  crebbe . E' in questo ambiente che Artemisia esercitò l'arte di pittrice (infatti,  alle donne veniva negato l'accesso alla sfera del lavoro e la possibilità di crearsi un proprio ruolo sociale. Una donna non poteva realizzarsi puramente come lavoratrice, ma doveva perlomeno sostenersi col proprio status familiare; il lavoro femminile non era riconosciuto alla luce del sole, ma si realizzava perlopiù "clandestinamente"). A soli diciotto anni Artemisia aveva già dipinto il suo capolavoro "Giuditta che decapita Oloferne"


Il dipinto esprime le straordinarie doti pittoriche di questa giovane donna che venne violentata a diciott 'anni da un anziano amico del padre e, durante il processo contro il suo stupratore, dovette subire ogni tipo di umiliazione, compresa la tortura,(per testare la veridicità delle sue accuse la sottoposero  allo schiacciamento dei pollici)  da una giustizia maschilista e reticente verso le vittime di sesso femminile. Nella fredda violenza del gesto di Giuditta che decapita Oloferne si piuò cogliere il rancore di tutte le donne violentante nei secoli.
E' dopo questo episodio che Artemisia elabora una sua tecnica, anche se come precedemente detto influenzata da Caravaggio ma soprattutto da suo padre Orazio, predilege però tinte più violente con le quali crea i suoi magistrali giochi di luce tendenti a risaltare qualsiasi particolare.
Nel 1616 fu la prima donna  che venne accettata nell'Accademia delle Arti e del Disegno a Firenze, dove si trasferì dopo lo scandalo, qui ebbe un discreto successo, fu in buoni rapporti con Galileo Galilei e con  Michelangeo Buonarroti il giovne (nipote di Michelangelo): impegnato a costruire una magione  che celebrasse la memoria dell'illustre antenato, affidò ad Artemisia l'esecuzione di una tela destinata a decorare il soffitto della galleria dei dipinti.

Allegoria all'inclinazione - 1615 -1616
Olio su tela 152 cm x 61
Casa Buonarroti Firenze
La tela in questione rappresenta una Allegoria all'inclinanzione (ossia del talento naturale), raffigurata in forma di giovane donna ignuda che tiene in mano una bussola. Si ritiene che l'avvenente figura femminile abbia le fattezze della stessa Artemisia, che – come ci dicono le informazioni mondane dell'epoca – fu donna di straordinaria avvenenza.
In effetti capita spesso, nelle tele di Artemisia, che le sembianze delle formose ed energiche eroine che vi compaiono abbiano fattezze del volto che ritroviamo nei suoi ritratti o autoritratti.
Appartengono al periodo fiorentino la Conversione della Maddalena, la Giuditta con la sua ancella di Palazzo Pitti e una seconda (dopo quella di Napoli dipinta 8 anni prima) versione della Giuditta che decapita Oloferne agli Uffizi
Nonostante il successo di Firenze a causa delle spese eccessive e pressata dai creditori Artemisia decide di ritornare con la sua famiglia a Roma che tratterò nella seconda parte a presto...







mercoledì 20 aprile 2011

la cultura mantiene giovani - contro i tagli alla cultura -

Vi consiglio di guardare, se non lo avete già fatto, l'intervista  di Fabio  Fazio a Zigmund Bauman - famoso sociologo autore di molti saggi sulla società moderna - dove racconta del suo ultimo libro "Vite che non possiamo permetterci". Approfondirò sicuramente  questo grande  autore
Grace

I Laboratori del Centro......per saperne di più

In attesa dei post delle mie amiche e dei loro racconti sulle varie attività che si svolgono nel Centro Alzheimer,  proverò a descrivere la nascita  del laboratorio manuale creativo-ricreativo. La decisione di chiamarlo  così nasce  poichè all'attività manuale svolta dai signori abbiamo unito quella del riciclo usando come condimento tanta fantasia... spesso con risultati sorprendenti e qualche volta con risultati un pò meno eclatanti, ma sempre con tanto impegno ed entustiamo dei nostri ospiti e grande soddisfazione da parte mia e della mia compagna di ventura Laura. Buona lettura

Il riciclo creativo: “da cosa nasce cosa”
Tutto ebbe inizio...

...durante le svolgimento delle attività di laboratorio manuale, nel corso delle quali cerchiamo di far emergere dai racconti dei partecipanti i loro ricordi legati alle fasi della loro vita ed attingere così ai loro saperi spesso inespressi, alle loro abilità nel creare o riparare oggetti. Sollecitati a frugare tra gli “scaffali” della memoria, i partecipanti sono invitati a raccontare la loro gioventù, a riferire delle loro abilità manuali, della cultura materiale in cui erano immersi, dove spesso gli oggetti in disuso non venivano gettati via come si fa oggigiorno nella nostra società dello spreco, ma venivano messi da parte, per essere eventualmente riutilizzati. Ai loro tempi, ci spiegano, tutto era utile e non si buttava nulla, tutto poteva servire...un piccolo pezzo di spago, il vetro, così prezioso, tanto che esisteva il vuoto a rendere o la carta di giornale, che veniva usata per foderare il secchio della pattumiera o riutilizzata come combustibile nelle stufe ecc. Questi racconti hanno indotto me e la mia collega Laura a riflettere sui nostri tempi, dove al contrario l'industrializzazione ed il boom economico degli anni '60 ha innescato quella corsa ad un consumismo sfrenato che ha raggiunto oggi proporzioni gigantesche, dove gli oggetti hanno vita breve e nulla viene conservato per un eventuale riutilizzo.

Tutto ciò ha come conseguenza un inquinamento dell'ambiente sempre più pervasivo e preoccupante per la salute del pianeta e dei suoi abitanti. Oggi si cerca di correre ai ripari con campagne di sensibilizzazione alle questioni di tutela ambientale e al ricorso di buone pratiche come la raccolta differenziata, il risparmio energetico, lo sviluppo sostenibile, l'acquisizione del concetto di “rifiuto” inteso come “risorsa”.

Un contributo significativo si tenta di darlo anche con il “riciclo creativo”, cioè a quelle pratiche, attraverso le quali, si può dare nuova vita agli oggetti cosiddetti “da buttare”.

La creatività non sembra conoscere limiti quando si tratta di reinventare un oggetto a partire dagli scarti destinati alla discarica: da semplici oggetti, a monili, a soluzioni di arredo fino a vere e proprie opere d’arte... il “riciclo” dà luogo a infinite forme e risultati; il “riciclo creativo” è diventato nel tempo una “buona pratica” capace di indicare la strada per un maggiore rispetto per l'ambiente e l'ecosistema.

Noi, con le nostre attività, vogliamo contribuire nel nostro piccolo alla salvaguardia ambientale e a promuovere la creatività come espressione del sé, e ci sembra una buona idea convertire il nostro laboratorio manuale in laboratorio del “riciclo creativo” che potremmo soprannominare “RICICLARTE” ovvero l'arte del riciclo. Abbiamo iniziato a raccogliere giornali, bottiglie, cd e relative custodie, tappi, vecchi scarti di lana, ecc. con la partecipazione entusiasta dei nostri ospiti e delle nostre colleghe del Centro.

Internet ci ha fornito dei validi spunti di lavori da attuare, ma abbiamo privilegiato oggetti e manufatti di facile esecuzione per i partecipanti al laboratorio, i quali sono sempre disponibili e aperti a ciò che proponiamo, anche quando, a volte, il compito risulta piuttosto impegnativo sia per noi che conduciamo il laboratorio sia per loro che ne sono parte attiva. In ogni caso siamo contente che siano soddisfatti e stupiti nel vedere “sbocciare” un fiore da una bottiglia di plastica o veder realizzato un cestino da un giornale.

Pensiamo che sia importante e gratificante per gli ospiti del centro creare degli oggetti a partire da materiale riciclato: quell'abitudine di mettere da parte bottoni, vecchi nastri, carta da regalo usata, può finalmente non essere più etichettata come “mania senile” spesso frettolosamente liquidata con frasi del tipo: “sono anziani, mettono da parte anche le cose inutili, non buttano via niente”.

Ricordiamo inoltre che questo laboratorio ha uno scopo molto importante cioè quello di vendere i manufatti realizzati al mercatino che facciamo durante le nostre feste nel corso dell'anno. Lo scopo è quello di devolvere il ricavato ad associazioni no profit per l'infanzia in quei luoghi del pianeta in cui il diritto all'infanzia è negato a causa della povertà, delle guerre e dell'instabilità economica e politica. Mentre l'Occidente ricco spreca, molti Paesi del Mondo non hanno accesso ai beni e servizi necessari alla sopravvivenza. L'idea del “riciclo creativo” e il momento di incontro e di vendita dei manufatti realizzati dagli ospiti del “Centro”, potrebbe rappresentare anche un'occasione di riflessione sulle contraddizioni del mondo contemporaneo e poi...il buttare via gli oggetti vecchi che non servono più non è forse una metafora della condizione dell'anziano nella nostra società fondata sull'efficientismo e la prestanza fisica?
Grace

mercoledì 13 aprile 2011

NOTIZIE DAL FUTURO III e navigar m'è dolce...in questa rete



Storie di inconsueti blogger

Quando i miei nonni videro per la prima volta un grammofono, cominciarono a roteargli intorno convinti che ci fosse dentro qualcuno. Credo che se avessero visto internet, gli sarebbe venuto un colpo". E' uno dei primi ricordi di Maria Amelia.
Maria Amelia ha 95 anni, è spagnola e probabilmente è la blogger più anziana del mondo. In rete posta i suoi ricordi, ma anche commenti sulla politica, e invettive contro il nipote, un ragazzo "avaro" che per il suo novantacinquesimo compleanno invece di farle un regalo l'ha aiutata a creare un blog tutto suo.
Maria Amelia forse è un po' severa col giovane discendente visto che ora è una delle donne più celebri di Spagna, invitata dai principali canali tv, mentre il suo blog ha quasi 50mila contatti al mese e riceve centinaia di mail. E forse grazie a questo, come ammette un suo collega di poco più giovane, ha ripreso interesse nella vita.
Non è l'unica blogger over 90. In rete si parla di almeno altri tre internauti con la passione del blog
C'è il Allan Loof, compositore svedese in pensione che di anni ne ha 94 .che mese dopo mese sforna le sue composizioni
C’è Donald Crowdis 93 naturalista canadese ha migliaia di contatti che non ha il computer ma è ospitato dal suo vicino, scrive sulla libertà di stampa, sulla sessualità, sulla vecchiaia.
Ray White 93 del Tennesse dove si diverte a coltivare il suo orto, nel suo blog da consigli di cucina e su come coltivare i pomodori.
Grazie alla rete queste persone mantengono i contatti col mondo, e come diceva il blogger coetaneo Don, nessuno ascolta più le voci degli anziani come loro. Tranne che sul web naturalmente.

domenica 10 aprile 2011

NOTIZIE DAL FUTURO ......

BY BY ARTROSI 
                                              
 Anziano a chi?
 Questa volta vorrei raccontarvi di una quasi ottantenne e di un centenario ,che in barba all'osteoporosi e agli acciacchi non si arrendono e continuano a fare sport infischiandosene della loro età anagrafica. Forse dovremmo prendere esempio da loro?

La nonna samurai che stende i militari della Folgore

Keiko Wakabayshi ha 77 anni, è nata in Giappone, discendente di una antica famiglia di samurai, adesso vive nel nord Italia. È una nonna tutto pepe esperta di arti marziali che mette le sue competenze al servizio dell’esercito italiano. Lo racconta il Daily Telegraph che l’ha fotografata alle prese con i militari della Folgore nella caserma di Livorno. Nonna Keiko insegna le arti marziali, la lotta con spade e bastoni, ma anche jujitsu, judo, kendo e karate. Lo fa con decisione e dolcezza, invitando gli allievi a guardarla e a credere che niente sia impossibile. "Non pensare che sia incredibile, non è il fisico che conta", è questo quello che ripete sempre la più anziana esperta di arti marziali prima delle dimostrazioni pratiche di combattimenti corpo a corpo.

Londra, un centenario all’ultima maratona

Occhi vispi, barba non ancora del tutto bianca e un fisico invidiabile, soprattutto se si considera che ha 101 anni. Stiamo parlando di Buster Martin, il centenario britannico di origine francese che ha partecipato, arrivando fino al traguardo, all’ultima maratona di Londra, il 13 aprile 2008. Alla partenza ha dichiarato di voler scendere sotto il muro delle 14 ore, in effetti ne ha impiegate solo un pizzico più di dieci per coprire i 42 km della competizione. Già leader degli Zimmers, la rock band overAnta, Buster Martin non sembra "rassegnarsi" a una vita tranquilla. Ancora oggi svolge attività di volontariato aiutando i bambini malati, ha 16 figli e lavora tre volte a settimana per una società londinese. E se qualcuno gli chiede il segreto della sua longevità, si scopre che non rinuncia nemmeno ai piccoli vizi: a detta di Buster infatti, per star bene sarebbero sufficienti una pinta di birra al giorno e tante occupazioni quotidiane.









venerdì 8 aprile 2011

Simone de Beauvoir "la terza età"

UN SAGGIO INTERESSANTE E SEMPRE ATTUALE
Oggi mentre  scrivevo per il giornalino del Centro Alzheimer, dei piccoli  articoli da consegnare al nostro redattore capo (laura) , pensavo ad un libro letto anni fa, di Simone de Beauvoir scrittrice del Novecento francese, compagna di Jean Paul Sartre. Il libro in questione è La terza età (titolo originale: La vieillesse)che Simone de Beauvoir  nel 1970. Il saggio, che riunisce ed elabora dati e concetti medici, etnologici, storici, sociologici, psicologici e filosofici, divenne ben presto un conosciuto e apprezzato classico della gerontologia. Credo  sia importante per chi lavora nel settore o, per chiunque sia interessato all'argomento, leggerlo. Ve ne posto un estratto :
"Vecchiaia e vita quotidiana. Il vecchio è spesso indifferente alla cultura, non sa a che pro apprendere. Perduta la propria immagine, ambisce piuttosto alle decorazioni, ai titoli, agli onori. L'assenza di scopi provoca la noia. Aumenta la diffidenza, indotta dalla dipendenza. Per difendersi dall'ansietà si rifugia nelle abitudini, nell'ostilità e nell'avarizia. Gli sembra che il denaro possa proteggerlo dalle insidie del futuro e gli conservi una parvenza di potere.
Aumentano con l'età anche le turbe psicopatologiche.
Ma può essere pure che per taluni fortunati, la vecchiaia porti arricchimento e liberazione."
 Lei del suo libro scriveva:
 "I vecchi sono degli esseri umani? A giudicare dal modo con cui sono trattati nella nostra società, è lecito dubitarne. Per questa società, essi non hanno le stesse esigenze e gli stessi diritti degli altri membri della collettività: a loro si rifiuta anche il minimo necessario. Per tranquillizzare la coscienza della collettività, gli ideologi hanno forgiato miti, del resto contraddittori, che incitano l'adulto a vedere nell'anziano non un suo simile, ma un "altro": il saggio venerabile che domina dall'alto il mondo terrestre, o il vecchio folle stravagante e vanesio. Che lo si ponga al di sopra o al di sotto della nostra specie, resterà in ogni caso un esiliato. Ma piuttosto di travisare la realtà, si preferisce ignorarla radicalmente: la vecchiaia resta un segreto vergognoso, un soggetto proibito. È proprio questo il motivo che mi ha indotto a scrivere queste pagine. Ho voluto descrivere la condizione di questi paria e il loro modo di vivere, ho voluto fare ascoltare la loro voce: saremo costretti a riconoscere che si tratta di una voce umana. Si comprenderà allora che la sorte infelice loro riservata denuncia il fallimento dell'intero nostro sistema sociale: è impossibile conciliarla con la morale umanista professata dalle classi egemoni.
C'è questo e molto altro nel saggio della de Beauvoir: il rapporto dell'anziano con la propria immagine e col tempo, vissuto nella dimensione del ricordo, l'esperienza erotica, l'approssimarsi della morte.
Buona lettura

giovedì 7 aprile 2011

argento-vivo: NON SOLO PITTORI FAMOSI NELLA STORIA DELL'ARTE II ...

argento-vivo: NON SOLO PITTORI FAMOSI NELLA STORIA DELL'ARTE II ...: "SOFONISBA ANGUISSOLAVorrei continuare e condividere con voi questa mia ricerca sulla storia di pittrici donne. Dopo Marietta Robusti (figlia..."

NON SOLO PITTORI FAMOSI NELLA STORIA DELL'ARTE II PARTE

SOFONISBA ANGUISSOLA
Vorrei continuare e condividere con voi questa mia ricerca sulla storia di pittrici donne. Dopo Marietta Robusti (figlia del Tintoretto) si distinse per le sue opere SOFONISBA ANGUISSOLA , che insieme alle sue tre sorelle (una quarta si dedicò alla letteratura) si possono definire le prime pittrici dell'età moderna.
"fanciullo morso da un granchio" Sofonisba
Visse tra il 1500 al 1600 si dedicò soprattutto alla ritrattistica. Michelangelo sosteneva che Sofonisba avesse molto talento tant'è che fu inserita nelle "Vite" di Giorgio Vasari . A soli 24 anni divenne la ritrattista ufficiale alla Corte di Spagna, Dopo un periodo che passò in Liguria e poi a Livorno tornò in Sicilia (patria del suo primo marito) e precisamente a Palermo, dove aveva numerosi interessi, continuò a dipingere per molti anni nonostante un forte calo della vista, ma alla fine dovette smettere. Comunque divenne tanto  famosa, che il  noto  artista  Anton Van Dyk, succedutole come ritrattista ufficiale della corte spagnola, confessò tutta la sua ammirazione per l'arte di Sofonisba Anguissola, che incontrò personalmente verso la fine della vita della pittrice.  Dal suo dipinto "fanciullo morso da un granchio"   Caravaggio prese spunto per ricreare la smorfia di dolore il bellissimo dipinto  "fanciullo morso da un ramarro".

"Fanciullo morso da un ramarro" Caravaggio


sabato 2 aprile 2011

LAVORARE IN UN CENTRO ALZHEIMER, LA LEGGEREZZA

Nella vita di oggi dove tutto è complicato , tutto è di corsa, dove le persone neanche si guardano, dove una semplice richiesta di contatto o di amicizia viene disillusa per paura di approfondire, dove il superficialismo e il qualunquismo abbonda .
Nella vita di oggi dove le persone hanno mania di protagonismo e tutto viene spettacolarizzato, dove vincono le donne che vendono il loro corpo e la loro "dignità" come se fossero al mercato della carne, dove ci sono uomini che comprano come se fossero al mercato della carne.
Nella vita di oggi dove la politica abbonda di volgarità, mania di potere, dove nessuno di chi detiene il potere ci rappresenta ma pensa  soltanto a come mantenersi la poltrona, dove nulla funziona e ti sembra veramente di essere abbandonato dalle istituzioni.
Nella vita di oggi dove arrivare a fine mese con il proprio stipendio diventa un'utopia, dove  fare un'analisi o curarsi diventa un privilegio.
Nella vita di oggi diciamo non è facile vivere , ma ci sono quelle piccole cose, o quelle cose che ti capitano che forse danno una piccola speranza in questo panorama veramente deludente del nostro bel paese.
Nel mio caso è aver iniziato a lavorare nel centro Alzheimer, l'incontro con le persone che già ci lavoravano.
Iniziare questo percorso  insieme alla mia carissima amica e collega Laura, la possibilità che mi è stata data di esprimere le mie potenzialità e capacità in tutta libertà. La serenità con cui ci si accinge alla giornata (a parte le giornatacce di ognuno di noi ,ma questo rientra nella complessità dell' essere umano) le discussioni costruttive, ma anche no,  il momento della stupidera dove si ride per un nonnulla, l'impegno per far sì che i nostri ospiti diano un senso alla giornata passata nel nostro Centro.  Le confidenze, il conforto e il confronto. Relazionare con l'unica figura maschile che lavora al centro (Ivan) chiamato anche figlio unico, inglobato nel nostro mondo e contento di esserci. (spero) . Comunque in questo panorama deludente dove nel parlamento ci danno l'esempio mandandosi a fanc...., le delusioni generali  prolificano.... posso dire di essere fortuna ed aver trovato  la mia piccola isola felice certo non è l'eden,  ma a chi piace la perfezione ?